Il termine socialfascismo fu utilizzato dall'Internazionale Comunista (Comintern) tra gli anni 1920 e 1930 per definire spregiativamente i riformisti e i socialdemocratici. La definizione rifletteva una precisa teoria, adottata come linea politica ufficiale dal VI Congresso del Comintern nel 1928, secondo la quale riformisti e socialdemocratici rappresentavano l'"ala sinistra della borghesia" e, pertanto, erano nemici della classe operaia più insidiosi dei fascisti stessi.
Per circa sette anni, la concezione del socialfascismo, legata alla fine della "stabilità capitalista" e all'inizio del "terzo periodo", fu diffusa e imposta a tutti i militanti comunisti, che vennero esortati a separarsi dalle organizzazioni unitarie dei partiti antifascisti. La tattica raccomandata prevedeva la lotta "classe contro classe", vale a dire contro tutta la borghesia in entrambe le sue forme fascista e socialfascista.
A causa dei suoi esiti disastrosi soprattutto in Germania, dove la divisione della sinistra contribuì notevolmente alla presa del potere dei nazisti, questa teoria fu infine rinnegata dal Comintern, con l'inizio della fase dei fronti popolari decisa dal VII Congresso nel 1935.
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