Dialetto bustocco

Bustocco
Büstócu
Parlato inBandiera dell'Italia Italia
Regioni  Lombardia
Locutori
Totalecirca il 30% della popolazione dell'area in cui è diffuso
Dato del 2006 riferito a tutti i dialetti lombardi nel loro insieme[1]
Altre informazioni
ScritturaAlfabeto latino
TipoSVO flessiva - accusativa
Tassonomia
FilogenesiLingue indoeuropee
 Romanze
  Romanze occidentali
   Galloromanze
    Galloitaliche
     Lombardo
      Lombardo occidentale
       Bustocco
Statuto ufficiale
Ufficiale innon ha nessun riconoscimento ufficiale
Regolato danon ha nessuna regolazione ufficiale
Codici di classificazione
ISO 639-2roa

Distribuzione geografica dettagliata dei dialetti del lombardo. Legenda: L01 - lombardo occidentale; L02 - lombardo orientale; L03 - lombardo meridionale; L04 - lombardo alpino

Il dialetto bustocco[2] (nome nativo büstócu) è la variante del lombardo occidentale parlata a Busto Arsizio (Büsti Grandi in bustocco), città dell'Alto Milanese in provincia di Varese. Si stacca notevolmente sia dal milanese,[3] sia dai dialetti varesotti, sia dagli altri dialetti parlati nelle località più prossime a Busto Arsizio,[4] così come da tutti gli altri dialetti lombardi.[5][6] È difficile stimare il numero di parlanti preciso del bustocco. Si stima che tutti i dialetti lombardi siano parlati da circa il 30% della popolazione dell'area in cui sono diffusi[1], ma i dati non sono divisi per variante dialettale.

Rispetto al milanese e ai dialetti vicini presenta diverse particolarità:[7]

  • semplificazione di tutte le consonanti doppie (es. balón, come nel resto della lingua lombarda)
  • riduzione del suono /r/ fino alla sua quasi completa scomparsa (es. lauà invece di lavorare, paòla invece di parola)
  • lenizione della labiodentale /v/ in presenza di vocale, a cui spesso si assimila (es. 'üstu = visto).
  • riduzione sostanziale delle sillabe finali postoniche in presenza dei fenomeni sopra esposti.

In qualche caso una parola lunga è stata ridotta ad un semplice vocalizzo (es. volare: sguá invece di sgolà).

Nel bustocco si ha la conservazione della vocale atona u e i nel finale delle parole, caratteristica unica di tale dialetto. Le forme tècc (tetto) e trèdes (tredici) del lombardo occidentale a Busto Arsizio sono téciu e trèdasi.[8] A Busto Arsizio si dice düu (it. "duro") e udùi (it. "odore"), mentre nella vicina Legnano si esprimono gli stessi concetti attraverso i termini dür e udùr.[9]

Al plurale, quasi sempre, la stessa uscita vale per il maschile come per il femminile. Nei nomi propri sono i neutri che si applicano indifferentemente (es. 'Ngiuloêu per Angelo o Angela).

A metà ottocento Luigi Ferrario asseriva:

«Il dialetto di Busto ha un'impronta particolare, che caratterizza, per così dire, l'indole degli abitanti i quali nella pronunzia tendono ad allungare in fine quasi tutte le parole. Abusano spesso delle sincopi, talvolta anche delle antitesi e delle elisioni. Ora però che si è accresciuto il numero delle famiglie civili, e le relazioni colla città si sono moltiplicate, pare che il dialetto vada a poco a poco perdendo della nativa rozzezza.»

Come fa notare lo storico Luigi Giavini, il bustocco non è un dialetto unitario.[10] Occorre distinguere tra la parlata più "rustica" della zona del vecchio borgo coincidente con il quartiere di san Michele, dove vivevano i contadini (bagiaúni) e la parlata più "civica" della zona di san Giovanni, dove vivevano gli artigiani (scendaàti), che avevano più contatti con l'esterno.[10] La parola italiana "sforzata" diventa ad esempio sfurzòa a san Michele e sfurzáa a san Giovanni.[11]

Altre differenze si possono riscontrare con il dialetto parlato nelle cascine intorno alla città, dove vivevano i cassináti, cioè quei contadini che non abitavano nel borgo come i bagiaúni. In particolare, il dialetto della Cascina dei Poveri, nella quale si viveva fino ai primi anni Settanta, risente della sua ubicazione a metà tra Busto Arsizio e Gallarate.[11] Il substrato ligure è meno marcato nel dialetto gallaratese: ad esempio alla Cascina dei Poveri si diceva Büst invece di Büsti (Busto), sachèt invece di sachétu (sacchetto), üst invece di üstu (visto). Il termine príncipe del dialetto bustocco, lauà, alla Cascina dei Poveri si diceva lauó.[12]

Anche i dialetti dei quartieri di Borsano e Sacconago, un tempo comuni autonomi, presentano delle differenze da quello di Busto Arsizio. A Borsano in alcuni casi sono rimaste la /r/ e la /v/ intervocaliche, come nel caso di tempurál invece di tempuál (temporale), materàzzu invece di mateàzzu (materasso)[13] e di lavà invece di laà (lavare).[14] In altri casi è riscontrabile la permanenza delle finali /óun/ invece di /ón/ ed /éin/ invece di /én/.[11] Infine esistono differenze a livello di lessico: a Busto pasté vuol dire pastaio, mentre a Borsano significa disordine. A Sacconago sono cadute alcune /v/ intervocaliche (e non solo) che non sono cadute nel bustocco, come nel caso di caál invece di cavál (cavallo), áca invece di váca (mucca).[15] Un caso interessante è la parola “prezzemolo”, che si dice pedarsén in bustocco, pridinzén in borsanese, pridinsén in sinaghino e si diceva pidarsén alla Cascina dei Poveri.

Un celebre scioglilingua in bustocco recita: "dü öi indüìi in d'u áqua d'Uóna", cioè "due uova indurite (sode) nell'acqua dell'Olona".

  1. ^ a b lombardi, dialetti, in Enciclopedia dell'italiano, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010-2011.
  2. ^ Riconoscendo l'arbitrarietà delle definizioni, nella nomenclatura delle voci viene usato il termine "lingua" in accordo alle norme ISO 639-1, 639-2 o 639-3. Negli altri casi, viene usato il termine "dialetto".
  3. ^ Per un milanese è difficile comprendere la parlata stretta bustocca (cfr. Saibene, 1986, p. 132)
  4. ^ Azimonti, 1939, p. 6.
  5. ^ Rognoni, 2005, p. XI.
  6. ^ Sanga, 1984, p. 10.
  7. ^ Il dialetto bustocco è uno dei più sintetici dialetti lombardi (cfr. Spiller-Menicanti, 1991, p. 74).
  8. ^ Rognoni, 2005, p. 94.
  9. ^ D'Ilario, 2003, p. 35.
  10. ^ a b Giavini, 1983, vol. 2, p. 6.
  11. ^ a b c Giavini, 1983, vol. 2, p. 7.
  12. ^ Giavini, 1983, vol. 2, p. 16.
  13. ^ Giavini, 1983, vol. 2, p. 58.
  14. ^ Rimoldi, 1993, p. 4.
  15. ^ Giavini, 1983, vol. 2, p. 8.

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