L'espressione "fuga dei cervelli" (in inglese human capital flight, o spesso brain drain) indica l'emigrazione verso Paesi stranieri di persone di talento o alta specializzazione professionale formatesi in madrepatria. Tale termine, riferito al cosiddetto "capitale umano", rievoca quello della "fuga dei capitali", ovvero il disinvestimento economico da ambienti non favorevoli all'impresa. Il fenomeno è generalmente visto con preoccupazione[1] perché rischia di rallentare il progresso culturale, tecnologico ed economico dei Paesi dai quali avviene la fuga, fino a rendere difficile lo stesso ricambio della classe docente.
Il fatto che giovani neolaureati e neodottorati vadano a lavorare in università e centri di ricerca di altre nazioni è fisiologico, ai nostri giorni, perché connaturato alla forte globalizzazione attuale della ricerca. I grandi centri di ricerca attirano persone brillanti provenienti da tutto il mondo. La mobilità degli studiosi è un fenomeno comune fin dagli albori delle università e di per sé un fattore di arricchimento culturale e professionale, perché la ricerca non conosce frontiere.
Il problema per un Paese nasce quando il saldo tra gli studiosi che partono e quelli che arrivano è negativo, cioè quando un Paese non riesce ad attirare tanti studiosi quanti quelli che se ne sono andati.
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