Infanzia nell'antica Roma

«...innocentissima...aetas»

Gaio Cesare da bambino

All'infanzia nell'antica Roma si apparteneva sino ai sette anni [1], periodo questo in cui l'infante veniva considerato come privo di quella ragione che, secondo il modo di pensare popolare e il diritto, si acquisiva dopo il superamento dell'età durante la quale l'infans[2] era incapace di esprimere razionalmente la sua volontà così che giuridicamente veniva definito "colui che non può parlare" (qui fari non potest).

Il giurista bizantino Teofilo, ad esempio, a proposito della regolarità del testamento sosteneva che questo non potesse essere redatto né da un bambino né da un pazzo poiché «il primo al senno non è giunto, mentre il secondo ne è stato abbandonato».[3][4]

  1. ^ L'educazione e la vita dei giovani nell'antichità
  2. ^ Infans da in (negativo) e fans (part. pr. di fari (parlare)
  3. ^ Teofilo, Parafrasi II, 12, 1
  4. ^ Ulpiano, Digesto XXXVII, 11, 1

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