Leggi razziali fasciste

Titolo di apertura sulla prima pagina del Corriere della Sera dell'11 novembre 1938, che annuncia l'approvazione delle leggi razziali da parte del Consiglio dei ministri
Gaetano Azzariti (a sinistra)giurista e politico italiano, presidente della Commissione sulla razza durante il regime fascista
Trieste - Targa apposta nel 2013 sul pavimento di Piazza Unità d'Italia, a memoria dell'emanazione delle leggi razziali da parte di Mussolini
Firme di Vittorio Emanuele III, Mussolini, Galeazzo Ciano, Paolo (Thaon) di Revel (Ministro delle Finanze) e Arrigo Solmi. R.D.L. (Regio Decreto-Legge) 17 novembre 1938, n. 1728 - Provvedimenti per la difesa della razza italiana.

Le leggi razziali fasciste furono un insieme di provvedimenti legislativi e amministrativi emanati e applicati in Italia fra il 1938 e il primo lustro degli anni quaranta, dapprima dal regime fascista del Regno d'Italia e poi dalla Repubblica Sociale Italiana, rivolti prevalentemente contro le persone ebree.

Il loro contenuto fu annunciato per la prima volta il 18 settembre 1938, a Trieste dal dittatore Benito Mussolini, mentre rivolgeva un discorso a una folla raccolta sotto un palco allestito davanti al Palazzo del Municipio in Piazza Unità d'Italia, in occasione di una sua visita alla città.

Furono abrogate coi regi decreti-legge n. 25 e 26 del 20 gennaio 1944,[1] emanati durante il Regno del Sud, mentre nella Repubblica Sociale Italiana continuarono a essere in vigore fino alla Liberazione, nell'aprile 1945.

  1. ^ R.D.L. nn. 25 e 26, 20 gennaio 1944

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