Malattia di Alzheimer

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Malattia di Alzheimer
Confronto tra un cervello sano (a sinistra) e un cervello di una persona affetta da Malattia di Alzheimer (a destra)
Specialitàneurologia
Eziologiaignoto
Sede colpitaSistema nervoso centrale
Classificazione e risorse esterne (EN)
OMIM104300
MeSHD000544
MedlinePlus000760
eMedicine1134817
GeneReviewsPanoramica
Sinonimi
Morbo di Alzheimer
Demenza presenile di tipo Alzheimer
Demenza degenerativa primaria di tipo Alzheimer
Eponimi
Alois Alzheimer

La malattia di Alzheimer-Perusini (anche nota come morbo di Alzheimer[1], demenza presenile di tipo Alzheimer, demenza degenerativa primaria di tipo Alzheimer), per semplicità Alzheimer, è la forma più comune di demenza degenerativa progressivamente invalidante con esordio prevalentemente in età presenile (oltre i 65 anni)[2]. Nel DSM-5 viene nominata come disturbo neurocognitivo maggiore o lieve dovuto a malattia di Alzheimer (331.0). Si stima che circa il 50-70% dei casi di demenza sia dovuta a tale condizione, mentre il 10-20% a demenza vascolare.

Il sintomo precoce più frequente è la difficoltà nel ricordare eventi recenti. Con l'avanzare dell'età possono comparire altri sintomi come: afasia, disorientamento, cambiamenti repentini di umore, depressione, incapacità di prendersi cura di sé, problemi nel comportamento. Ciò porta il soggetto inevitabilmente a isolarsi nei confronti della società e della famiglia. A poco a poco, le capacità mentali basilari vengono perse. Anche se la velocità di progressione può variare, l'aspettativa media di vita dopo la diagnosi è dai tre ai nove anni.[3]

La patologia è stata descritta per la prima volta nel 1906, dallo psichiatra e neuropatologo tedesco Alois Alzheimer.[4] Nel 2006 vi erano 26,6 milioni di malati in tutto il mondo e si stima che ne sarà affetta 1 persona su 85 a livello mondiale entro il 2050.[5]

La causa e la progressione della malattia di Alzheimer (Alzheimer's Disease, AD) non sono ancora ben comprese. La ricerca indica che la malattia è strettamente associata a placche amiloidi e ammassi neurofibrillari riscontrati nel cervello, ma non è nota la causa prima di tale degenerazione.[6] Attualmente i trattamenti terapeutici utilizzati offrono piccoli benefici sintomatici e possono parzialmente rallentare il decorso della patologia; anche se sono stati condotti oltre 500 studi clinici per l'identificazione di un possibile trattamento per l'Alzheimer, non sono ancora stati identificati trattamenti che ne arrestino o invertano il decorso.[7] Circa il 70% del rischio si ritiene sia genetico con molti geni solitamente coinvolti. Altri fattori di rischio includono: traumi, depressione o ipertensione. Il processo della malattia è associato a placche amiloidi che si formano nel SNC.[8]

Una diagnosi probabile è basata sulla progressione della malattia, test cognitivi con imaging medico e gli esami del sangue per escludere altre possibili cause[9]. I sintomi iniziali sono spesso scambiati per normale invecchiamento. È necessaria la biopsia del tessuto cerebrale per una diagnosi definitiva[8]. L'esercizio mentale e fisico può diminuire il rischio di AD. Non esistono farmaci o integratori che scientificamente possano diminuire il rischio di AD.[10]

A livello preventivo, sono state proposte diverse modificazioni degli stili di vita personali come potenziali fattori protettivi nei confronti della patologia, ma non vi sono adeguate prove di una correlazione certa tra queste raccomandazioni e la riduzione effettiva della degenerazione. Stimolazione mentale, esercizio fisico e una dieta equilibrata sono state proposte sia come modalità di possibile prevenzione, sia come modalità complementari di gestione della malattia.[11]

La sua ampia e crescente diffusione nella popolazione, la limitata e, comunque, non risolutiva efficacia delle terapie disponibili e le enormi risorse necessarie per la sua gestione (sociali, emotive, organizzative ed economiche), che ricadono in gran parte sui familiari dei malati, la rendono una delle patologie a più grave impatto sociale del mondo.[12][13]

Anche se il decorso clinico della malattia di Alzheimer è in parte specifico per ogni individuo, la patologia causa diversi sintomi comuni alla maggior parte dei pazienti.[14] I primi sintomi osservabili sono spesso erroneamente considerati problematiche "legate all'età", o manifestazioni di stress.[15] Nelle prime fasi, il sintomo più comune è l'incapacità di acquisire nuovi ricordi e la difficoltà nel ricordare eventi osservati recentemente. Quando si ipotizza la presenza di una possibile malattia di Alzheimer, la diagnosi viene di solito confermata tramite specifiche valutazioni comportamentali e test cognitivi, spesso seguiti dall'imaging a risonanza magnetica[16].

Con l'avanzare della malattia, il quadro clinico può prevedere confusione, irritabilità e aggressività, sbalzi di umore, difficoltà nel linguaggio, perdita della memoria a breve e lungo termine e progressive disfunzioni sensoriali.[15][17]

Poiché per la malattia di Alzheimer non sono attualmente disponibili terapie risolutive e il suo decorso è progressivo, la gestione dei bisogni dei pazienti diviene essenziale. Spesso è il coniuge o un parente stretto (caregiver)[18] a prendersi in carico il malato, compito che comporta notevoli difficoltà e oneri. Chi si occupa del paziente può sperimentare pesanti carichi personali che coinvolgono aspetti sociali, psicologici, fisici ed economici.[19][20][21]

  1. ^ Il termine morbo, dal latino Mòrbus, "malattia che conduce a morte", è stato storicamente utilizzato per indicare le malattie a decorso fatale, soprattutto perché sconosciute e quindi incurabili. Attualmente è un vocabolo in via di abbandono sia per rispetto del malato, sia perché di molte malattie è stata trovata l'origine e la cura.
  2. ^ (EN) R. Brookmeyer et al., Projections of Alzheimer's disease in the United States and the public health impact of delaying disease onset, in American Journal of Public Health, vol. 88, n. 9, settembre 1998, pp. 1337–42, DOI:10.2105/AJPH.88.9.1337, PMC 1509089, PMID 9736873.
  3. ^ (EN) S. Todd, S. Barr, M. Roberts e A.P. Passmore, Survival in dementia and predictors of mortality: a review., in International journal of geriatric psychiatry, vol. 28, n. 11, novembre 2013, pp. 1109-24, DOI:10.1002/gps.3946, PMID 23526458.
  4. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore pmid9661992
  5. ^ Prevalenza stimata nel 2006:
  6. ^ (EN) Tiraboschi P. et al., The importance of neuritic plaques and tangles to the development and evolution of AD, in Neurology, vol. 62, n. 11, giugno 2004, pp. 1984–9, PMID 15184601.
  7. ^ (EN) Alzheimer's Disease Clinical Trials, su clinicaltrials.gov, US National Institutes of Health. URL consultato il 18 agosto 2008.
  8. ^ a b (EN) C. Ballard et al., Alzheimer's disease., in Lancet, vol. 377, n. 9770, 19 marzo 2011, pp. 1019-31, DOI:10.1016/S0140-6736(10)61349-9, PMID 21371747.
  9. ^ (EN) Dementia diagnosis and assessment (PDF), su pathways.nice.org.uk. URL consultato il 30 novembre 2014 (archiviato dall'url originale il 5 dicembre 2014).
  10. ^ (EN) More research needed on ways to prevent Alzheimer's, panel finds (PDF), su nia.nih.gov, National Institute on Aging, 29 agosto 2006. URL consultato il 29 febbraio 2008 (archiviato dall'url originale il 28 gennaio 2012).
  11. ^ (EN) Can Alzheimer's disease be prevented (PDF), su nia.nih.gov, National Institute on Aging, 2006. URL consultato il 29 febbraio 2008 (archiviato dall'url originale il 2 ottobre 2006).
  12. ^ (EN) Meek PD, McKeithan EK e Schumock GT., Economic considerations in Alzheimer's disease (abstract), in Pharmacotherapy, vol. 18, 2 P 2, marzo-aprile 1998, pp. 68-73.
  13. ^ (EN) C.W. Zhu e M. Sano, Economic considerations in the management of Alzheimer's disease (PDF), in Clinical Interventions in Aging, vol. 1, n. 2, 2006, pp. 143–54, PMC 2695165.
  14. ^ (EN) What is Alzheimer's disease?, su alzheimers.org.uk, agosto 2007. URL consultato il 21 febbraio 2008.
  15. ^ a b (EN) G. Waldemar et al., Recommendations for the diagnosis and management of Alzheimer's disease and other disorders associated with dementia: EFNS guideline, in European Journal of Neurology, vol. 14, n. 1, gennaio 2007, pp. e1–26, DOI:10.1111/j.1468-1331.2006.01605.x, PMID 17222085.
  16. ^ (EN) Alzheimer's diagnosis of AD, su alzheimers-research.org.uk, Alzheimer's Research Trust. URL consultato il 29 febbraio 2008 (archiviato dall'url originale il 22 ottobre 2007).
  17. ^ (EN) Tabert M.H. et al., A 10-item smell identification scale related to risk for Alzheimer's disease, in Ann. Neurol., vol. 58, n. 1, 2005, pp. 155–160, DOI:10.1002/ana.20533, PMID 15984022.
  18. ^ (EN) The MetLife study of Alzheimer's disease: The caregiving experience (PDF), su metlife.com, MetLife Mature Market Institute, agosto 2006. URL consultato il 5 febbraio 2011 (archiviato dall'url originale l'8 gennaio 2011).
  19. ^ (EN) C.A. Thompson et al., Systematic review of information and support interventions for caregivers of people with dementia, in BMC Geriatr, vol. 7, 2007, p. 18, DOI:10.1186/1471-2318-7-18, PMC 1951962, PMID 17662119.
  20. ^ (EN) Schneider J. et al., EUROCARE: a cross-national study of co-resident spouse carers for people with Alzheimer's disease: I—Factors associated with carer burden, in International Journal of Geriatric Psychiatry, vol. 1, n. 8, agosto 1999, pp. 651–661, PMID 10489656.
  21. ^ (EN) Murray J. et al., EUROCARE: a cross-national study of co-resident spouse carers for people with Alzheimer's disease: II—A qualitative analysis of the experience of caregiving, in International Journal of Geriatric Psychiatry, vol. 14, n. 8, agosto 1999, pp. 662–667, PMID 10489657.

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