Morte personificata

La Morte sul Cavallo Bianco, di Gustave Doré, ispirato dal passo 6:8 dell'Apocalisse di Giovanni
Statua di uno scheletro ammantato nella cattedrale di Treviri in Germania

La morte personificata è una figura esistente fin dall'antichità nella mitologia e nella cultura popolare, con una vaga forma umana o come personaggio fittizio. La raffigurazione più diffusa nell'immaginario collettivo è quella di uno scheletro che brandisce una falce, a volte vestito da un saio nero, una tunica o da un mantello di colore nero munito di cappuccio.

I temi più comuni con i quali viene raffigurata la morte personificata sono:

  • scheletri che danzano con esseri viventi;
  • scheletri armati di falce che infieriscono su varie categorie sociali di persone per dimostrazione che dinanzi alla morte siamo tutti uguali;
  • Danza Macabra che si diffonde nella seconda metà del 1300 mediante il testo francese composto da Jean Le Ferve (1395-1468) nel quale dichiara: “Je fis Le Macabré La Danse[1];
  • raffigurazioni del Giudizio Universale correlato a una rappresentazione dantesca del Paradiso e dell'Inferno;
  • raffigurazione del Giudizio Universale come decimazione umana dopo la peste del 1348[2];
  • raffigurazioni di tre personaggi vivi e tre personaggi morti, questo per sottolineare il ciclo della vita e della morte;
  • associazione di simboli di morte a quelli del diavolo per evidenziare la contrapposizione duale tra l'anima e il corpo, la luce e il buio, la vita e la morte[3].

L'iconografia del Giudizio Universale dal XII secolo cambia diventando giudizio individuale: l'uomo al momento della morte acquista coscienza della sua individualità, passando perciò dalla morte intesa come fatto collettivo, alla morte che concerne il singolo individuo, la propria morte. Il morente non vede più le persone intorno a sé ma si chiude in se stesso dove avviene lo scontro tra Cielo e Inferno, tra Cristo, Le Vergini, I santi e i Demoni. Il giudizio dell'individuo non avviene in uno spazio ultraterreno ma dentro la sua stanza: accade allora che Dio non sia tanto il giudice che pronuncia la sentenza, quanto l'arbitro dell'ultima prova proposta all'uomo nel momento preciso della morte[4]. Il morente deve scegliere tra il bene e il male, ma il demonio lo tenta sollecitandolo alla disperazione mostrandogli come la fine minacci di sottrargli tutti quei beni materiali che egli ha amato e posseduto. Se accetterà di rifiutare i beni terreni si salverà, se invece vorrà portarli nell'aldilà sarà dannato. Questi oggetti temporali possono essere sia beni concreti che la stessa famiglia, in entrambi i casi il moribondo peccherà di avarizia intesa come avida passione della vita, degli esseri e delle cose[4]. L'avaro voleva portare con sé i beni della vita ma la Chiesa lo avvertiva che li avrebbe portati all'Inferno. Lo si vede bene nell'affresco Il trionfo della morte, risalente al 1485, ospitato nella chiesa di S. Bernardino a Bergamo, la morte viene raffigurata come regina che sottomette tutti a sé, indossa un mantello e una corona ed è attorniata da persone che la implorano e le offrono ricchezze.

Pertanto il momento della morte non è più calmo e rassegnato ma drammatico, in quanto espressione di questo nuovo rapporto con la ricchezza che può essere temporale ma anche spirituale. L'uomo in punto di morte, non essendo più certo della salvezza eterna, voleva salvaguardarsi con garanzie spirituali: il morente quindi doveva scegliere tra l'amore per i beni temporali e la vita eterna: donare i beni alla Chiesa permetteva la salvezza dell'anima.

Si stabilì così una relazione ambigua tra gli atteggiamenti davanti alla ricchezza e quelli davanti alla morte (l'amore delle cose terrene legato alla salvezza eterna): l'amore per i beni terreni permettevano donandoli alla Chiesa, la garanzia della vita eterna, ma non solo, si ottenevano in cambio anche fama e gloria, come mostrano le tombe dei maggiori donatori. Ritornano infatti le tombe visibili, molto rare nell'Alto Medioevo, che permettevano al defunto di essere in cielo ma rimanere sulla terra. Questo processo di trasformazione ha portato l'aumento della diseguaglianza tra povero e ricco: solo pochi potevano arrivare a ottenere una tomba visibile e propria, gli altri rimanevano anonimi nella fossa comune. La netta distinzione tra ricco e povero veniva sottolineata dal cambiamento dei riti funebri. Il corte funebre del potente donatore aveva un seguito molto numeroso, costituito da monaci, preti specializzati, amici, parenti e gente povera[5].

La figura della morte è nota a molti con il nome di Tristo Mietitore, Sinistro Mietitore, Cupo Mietitore, Nera Mietitrice, Grande Mietitrice o Signora in Nero. La personificazione della morte viene generalmente associata all'idea di un'entità neutra, ossia né buona né cattiva. Il suo unico compito sarebbe quello di accompagnare nel trapasso le anime degli esseri umani al regno dei morti.

La morte viene spesso immaginata come una forza personificata, grazie al suo posto di rilievo nella cultura. In alcune mitologie, il Tristo Mietitore fa sì che la vittima muoia semplicemente venendo a prenderla e portandola all'inferno. A loro volta, le persone in alcune storie cercano di aggrapparsi alla vita evitando la visita della Morte, o difendendosi dalla Morte offrendole denaro o altre preziosità o usando trucchi. Altre credenze sostengono che lo Spettro della Morte è solo uno psicopompo, che serve a recidere gli ultimi legami tra l'anima e il corpo, e per guidare il defunto verso l'aldilà, senza avere alcun controllo su quando o come la vittima muore. La morte è spesso personificata in forma maschile, sebbene in certe culture venga percepita come femminile (ad esempio, Morana nella mitologia slava).

  1. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Danza
  2. ^ Alessandra, La peste nella storia dell’arte, su Frammenti d'Arte Blog, 31 marzo 2020. URL consultato il 16 febbraio 2022.
  3. ^ Medioevo ereticale. La rappresentazione del male nel Medioevo, su Mondi Medievali. URL consultato il 16 febbraio 2022.
  4. ^ a b Philippe Ariès, Storia della morte in Occidente, Milano, Bur, 1998, p. 91.
  5. ^ Lou Arranca, Dal giudizio universale all'arte del ben morire, il passaggio dalla vecchia idea del destino collettivo alla preoccupazione per la particolarità di ogni individuo, su il Dolomiti, 16 giugno 2020. URL consultato il 16 febbraio 2022.

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