Punizioni militari romane

Un centurione col suo ramo di vite, con cui era solito percuotere le reclute.

Nell'antica Roma, le punizioni militari erano assegnate ai soldati che avevano commesso qualche grave mancanza in servizio. Le punizioni e le pene corporali erano un aspetto molto frequente della disciplina inculcata ai soldati. Accanto alle decorazioni e alle ricompense, si ricorreva a pene anche molto crudeli quando si doveva ristabilire l'ordine tra i ranghi o si voleva punire un comportamento sbagliato o disonorevole.

Quando un soldato si arruolava nell'esercito romano, giurava solennemente la sua fedeltà alle istituzioni romane (sacramentum): in origine al Senato ed al popolo romano, in seguito al generale o all'imperatore. Con il sacramentum egli dichiarava che avrebbe soddisfatto tutte le condizioni di servizio, in caso contrario sarebbe stato punito anche con la morte. La disciplina nell'esercito romano era estremamente rigorosa rispetto agli standard moderni, e il generale aveva il potere di effettuare anche un processo sommario ad un qualsiasi soldato alle sue dipendenze.

Polibio divide le pene inflitte da un comandante in pene per i reati militari e punizioni per "atti da vili", anche se sembra che ci sia poca differenza nella natura aspra della pena tra queste due classificazioni. Questa la descrizione che ci fa Giuseppe Flavio durante la prima guerra giudaica delle punizioni militari:

«Presso i Romani, le leggi puniscono con la morte non solo la diserzione, ma anche alcune piccole mancanze e, ancor più delle leggi, incutono paura i comandanti; essi, però, distribuendo anche ricompense ai valorosi evitano di apparire spietati da parte di chi viene punito.»

Svetonio aggiunge che con la riforma augustea dell'esercito romano,

«[...] venne mantenuta la più severa disciplina: dove i suoi legati non ottennero, se non a fatica e solo durante i mesi invernali, il permesso di andare a trovare le loro mogli. [...] Congedò con ignominia l'intera X legione, poiché ubbidiva con una certa aria di rivolta; allo stesso modo lasciò libere altre, che reclamavano il congedo con esagerata insistenza senza dare le dovute ricompense per il servizio prestato. Se alcune coorti risultava si fossero ritirate durante la battaglia, ordinava la loro decimazione e nutrire con orzo. Quando i centurioni abbandonavano il loro posto di comando erano messi a morte come semplici soldati, mentre per altre colpe faceva infliggere pene infamanti, come il rimanere tutto il giorno davanti alla tenda del proprio generale, vestito con una semplice tunica, senza cintura, tenendo in mano a volte una pertica lunga dieci piedi, oppure una zolla erbosa.»


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