L'allevamento intensivo è una particolare attività agricola[1] che non necessita di nesso funzionale con un fondo[2]: come ogni forma di allevamento, prevede la custodia, la crescita e la riproduzione degli animali, ma può essere svolta in ambienti confinati, anche in assenza di terreno sufficiente a garantire una produzione vegetale che soddisfi il potenziale fabbisogno alimentare dei capi allevati, lo smaltimento delle loro deiezioni e la percentuale tra superficie coperta e scoperta che contraddistingue gli insediamenti agricoli.
I sostenitori di questa forma di allevamento sostengono che essendo esercitata in un ambiente circoscritto garantisca la protezione degli animali dall'esposizione alle intemperie e ai predatori, una adeguata disponibilità di alimenti e acqua in termini quantitativi e qualitativi, nonché un maggiore controllo dell'animale stesso, che si traduce nella maggior possibilità di cura dalle eventuali malattie e soprattutto nell'applicazione di un regime alimentare di alto valore nutritivo adatto a ottenere il massimo rendimento produttivo, riducendo fortemente gli sprechi e quindi l'impatto ambientale.[3]
I detrattori, invece, definiscono l'allevamento intensivo una forma di allevamento “industriale”, lo considerano non rispettoso del benessere degli animali, nonché fonte di un enorme impatto ambientale, di un pericolo per l'igiene e la salute, nonché per l'economia soprattutto dei Paesi del Terzo Mondo, fino a sostenere che contribuisca in maniera rilevante al problema della fame nel mondo. La maggior parte della carne, dei prodotti caseari e delle uova che si acquistano nei supermercati viene prodotta in questo modo.[4][5][6]
Speculare all'allevamento intensivo con alti numeri di animali in spazi ristretti, vi è l'allevamento estensivo praticato su ampie superfici di solito pascoli.
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