Appello ai liberi e forti

«A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori della Patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché uniti insieme propugnano nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà.»

L'Appello ai liberi e forti è stato il manifesto redatto dalla commissione provvisoria del Partito Popolare Italiano il 18 gennaio 1919, al momento della fondazione del partito.

L'appello rappresenta una pietra miliare della storia del Cristianesimo democratico italiano. Fino ad allora, infatti, a seguito del non expedit, ai cattolici italiani era vietata qualsiasi forma di partecipazione alla vita pubblica del neonato Regno: "né eletti, né elettori".

Scritto sotto l'ispirazione di don Luigi Sturzo, contiene i caratteri fondamentali di quello che sarà poi definito popolarismo, una sorta di trasposizione in politica dei caratteri sociali ed etici della dottrina sociale della Chiesa cattolica, assorbendo anche alcuni principi propri del conservatorismo, del liberalismo, e addirittura del socialismo. L'appello chiamava a raccolta tutti i "liberi e forti", senza distinzione di confessione o credenza (come accadde quindi con il Centro Cattolico in Germania), disegnando i caratteri di un partito centrista e moderato, pronto ad alleanze con i liberali. L'appello accettava ed esaltava il ruolo della Società delle Nazioni, difendeva "le libertà religiose contro ogni attentato di setta", il ruolo della famiglia, la libertà d'insegnamento, il ruolo dei sindacati. Si poneva particolare attenzione a riforme democratiche come l'ampliamento del suffragio elettorale, compreso il voto alle donne, si esaltava il ruolo del decentramento amministrativo e della piccola proprietà rurale contro il latifondismo. Bisogna rammentare che molte di queste posizioni non erano del tutto accettate dalla società di inizio '900. Il ruolo delle donne nella società, come quello dei sindacati o dei comuni non era patrimonio comune della nazione. Soprattutto da parte della gerarchia il ruolo dei sindacati, nonostante l'enciclica Rerum novarum di papa Leone XIII, continuava ad essere poco gradito.


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