Architettura liberty in Italia

Voce principale: Architettura art nouveau.
Casa Fenoglio-Lafleur a Torino, 1902.

L'architettura liberty in Italia si affermò inizialmente come «arte nuova» o, secondo il giornalista torinese Enrico Thovez, «arte floreale»,[1] questo nuovo stile stupì per essere così «fedelmente naturalistico e nella sostanza nettamente decorativo».[2] A seguito delle edizioni dell'Esposizione internazionale d'arte decorativa moderna, Torino vide il crescente proliferare di questo nuovo stile in ambito prevalentemente architettonico, celebrando una sorta di «rinascimento delle arti decorative»,[3] avvalendosi di contributi dei maggiori autori dell'epoca come Raimondo D'Aronco e il torinese Pietro Fenoglio che si affermò per sua proficua attività di ingegnere e che fece del liberty torinese uno degli esempi più fulgidi e coerenti del variegato panorama architettonico italiano del tempo.[4]

L'Art Nouveau in architettura e design degli interni superò lo storicismo eclettico che permeava l'età vittoriana. Gli artisti dell'Art Nouveau selezionarono e modernizzarono alcuni tra gli elementi del Rococò[5][6][7], come le decorazioni a fiamma e a conchiglia, al posto dei classici ornamenti naturalistici vittoriani. Prediligevano invece la Natura per fonte di ispirazione ma ne stilizzarono evidentemente gli elementi e ampliarono tale repertorio con l'aggiunta di alghe, fili d'erba, insetti[8]. In definitiva il carattere più rivoluzionario della ricerca architettonica fu la completa rinuncia all'ordine architettonico che nonostante alcuni sperimentalismi aveva conservato per tutto il XIX secolo il proprio ruolo dominante in tutto il panorama architettonico, non soltanto accademico. Tale rinuncia ebbe un carattere permanente e continuerà nel protorazionalismo e nel razionalismo.

Nel contesto nazionale questa nuova corrente, che in seguito assunse anche il nome di «stile floreale»,[1] non si consolidò mai in una vera e propria scuola italiana di riferimento, ma si affermò, seppur con un lieve ritardo rispetto ai maggiori paesi europei, vivendo il suo massimo splendore nei primissimi anni del Novecento. Nella sua prima decade, infatti, si può parlare di liberty, termine che infine si affermò più diffusamente nel complessivo e variegato panorama nazionale e derivante dai celebri magazzini londinesi di Arthur Lasenby Liberty.[9]

Il liberty, dunque, trovò nell'architettura il suo maggior successo, lasciando ai posteri una delle testimonianze più durature. Tuttavia la primordiale vocazione populistica del liberty andò scemando, l'ideale di un «socialismo della bellezza»[10] andò evolvendosi in un ricco trionfo di motivi floreali, nervature filiformi, ardite decorazioni metalliche di chiara ispirazione fitomorfa ma divenne presto soltanto un privilegio delle classi sociali più abbienti.

Centrale idroelettrica di Gaetano Moretti a Trezzo sull'Adda, 1906.

Esempi di liberty in Italia sono visibili a Palermo, Torino, Milano, Napoli, Genova, Bari, La Spezia, Bologna, Pescara, Avezzano, Cagliari (Crescentino Caselli e Annibale Rigotti), Olbia (Bruno Cipelli, sostenuto dai nobili Colonna di Ponza).[11]

  1. ^ a b AA.VV., La Nuova enciclopedia dell'arte, Milano, Garzanti, 1997, ISBN non esistente
  2. ^ B. Coda N., R. Fraternali, C. L. Ostorero, 2017, p. 11.
  3. ^ AA. VV., 1898, pp. 30-32.
  4. ^ AA. VV., 1980, p. 318.
  5. ^ (EN) Rococo to Art Nouveau 1720 - 1900 13/14, su vam.ac.uk, Victoria and Albert Museum. URL consultato il 6 giugno 2014 (archiviato dall'url originale il 20 aprile 2014).
  6. ^ (EN) Art Nouveau, su metmuseum.org, Metropolitan Museum of Art. URL consultato il 6 giugno 2014.
  7. ^ (EN) Art Nouveau, su ArtQuid.com. URL consultato il 6 giugno 2014.
  8. ^ Andrea Speziali, Italian Liberty. Una nuova stagione dell'Art Nouveau, Forlì, Cartacanta, 2015, ISBN 978-88-96629-65-9.
  9. ^ Eugenio Rizzo, pp. 26-32.
  10. ^ B. Coda N., R. Fraternali, C. L. Ostorero, 2017, pp. 13-14.
  11. ^ Bossaglia, p. 32

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