Buddismo tibetano

Buddha Śākyamuni (in tibetano l'appellativo sanscrito Śākyamuni è reso come ཤཱཀྱ་ཐུབ་པ་, shakya thub pa) nell'arte tibetana. Particolare di un dipinto su tela degli inizi del XII secolo. Lo Śākyamuni qui è rappresentato nel momento in cui mette in moto la Ruota del Dharma (ཆོས་ཀྱི་འཁོར་ལོ, chos kyi 'khor lo): il pollice e il medio (nascosti) della mano destra formano in un cerchio, la vitarkamudrā, l'esposizione della dottrina, con il dito indice della mano sinistra, fa girare la ruota, le mette in moto. Notare sul capo la protuberanza cranica, la uṣṇīṣa (གཙུག་གཏོར gtsug gtor) uno dei trentadue segni maggiori di un Buddha, le orecchie allungate ricordano i pesanti gioielli indossati prima dell'abbandono della vita mondana.

Con l'espressione buddismo tibetano si indica, negli studi di buddhologia e nella storia delle religioni, quella peculiare forma di buddismo Mahāyāna/Vajrayāna presente nell'area tibetana.

Il termine con cui i buddhisti tibetani si riferiscono al proprio credo religioso e alla propria pratica cultuale è Chos (ཆོས, pronuncia: ciö) che poi è la resa in lingua tibetana del termine sanscrito Dharma[1]., oppure, più completamente, con l'espressione Sangs rgyas kyi bstan pa[2] (སངས་རྒྱས་ཀྱི་བསྟན་པ) che poi è la resa in tibetano del sanscrito buddha-śāsana ("Insegnamento del Buddha").་ Per indicare sé stessi in qualità di seguaci della propria religione buddhista, i tibetani utilizzano il termine nang pa (ནང་པ, lett. "interni"), indicando i seguaci delle altre religioni con il termine collettivo di phyi pa (ཕྱི་པ, pronuncia: cipa; lett. "esterni")[3].

  1. ^ Prats, p.135
  2. ^ Matthew T. Kapstein, p. 1151
  3. ^ Prats, p.136

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