Caccia imperiale (dinastia Qing)

Voce principale: Storia della caccia.
L'imperatore Qianlong durante la caccia - dipinto di Giuseppe Castiglione.

La caccia imperiale della dinastia Qing (zh. 秋獮T, 秋狝S, Qiū XiǎnP, Ch’iu1-hsien3W, lett. "Caccia autunnale"; mnc. ᠮᡠᡵᠠᠨ ᡳ ᠠᠪᠠ, muran-i aba)[1] fu un rito annuale degli imperatori della Cina durante la dinastia Qing (1644–1912). Organizzata per la prima volta nel 1681 dall'imperatore Qing Kangxi (r. 1661–1722) nei terreni di caccia di Mulan (l'odierna contea autonoma di Weichang Manchu e Mongolo), vicino a quella che sarebbe diventata la residenza estiva degli imperatori Qing a Chengde. A partire dal 1683 l'evento divenne un appuntamento annuale obbligato su quella che ormai era una riserva di caccia imperiale. Questa Caccia Autunnale sintetizzava tradizioni venatorie sia cinesi sia centro-asiatiche (fond. mancesi e mongole). Vi partecipavano l'imperatore, migliaia di soldati, membri della famiglia imperiale e funzionari governativi.

Gli imperatori Qing usavano la caccia come esercizio militare per addestrare le loro truppe nelle tradizionali abilità marziali del tiro con l'arco e dell'equitazione. La caccia era anche un rituale di legame inteso a enfatizzare le tradizioni marziali centro-asiatiche condivise dai soldati manciù e mongoli delle Otto Bandiere selezionati per partecipare (le truppe cinesi Han erano infatti escluse).[2] L'evento forniva l'opportunità agli imperatori Qing di lasciare i confini della Città Proibita di Pechino e tornare nelle foreste «a nord della Muraglia», più vicine alle loro terre ancestrali, per cacciare e vivere frugalmente come i loro antenati. Man mano che i Manciù s'abituarono alla vita urbana cinese, gli imperatori Qing ampliarono e ritualizzarono la caccia imperiale come una tradizione riscoperta per preservare il tradizionale stile di vita mancese: es. l'imperatore Qing Qianlong (r. 1722–1796) ne fece un elemento chiave dei suoi sforzi per fermare il costante declino della disciplina militare all'interno delle Bandiere.

Ogni anno, per tutta la durata della caccia, Mulan diveniva capitale temporanea dell'Impero e sede delle connesse attività diplomatiche. Qianlong richiedeva che i capi degli stati tributari centro-asiatici si unissero a rotazione alla caccia e, in generale, spesso riceveva emissari stranieri a Mulan piuttosto che nella Città Proibita.[3] Per facilitare il proseguimento delle operazioni del governo in assenza del Figlio del Cielo, molti funzionari governativi l'accompagnavano a Mulan, vivendo e lavorando in una tendopoli che replicava la struttura della Città Proibita, mentre i corrieri facevano la spola tra Mulan, Pechino e Chengde.

Complessivamente, gli imperatori Kangxi, Qianlong e Qing Jiaqing (r. 1796–1820) guidarono 91 cacce.[4] Essendo un elemento importante della cultura militare Qing e un'incarnazione dell'identità Manciù, la caccia imperiale figurò regolarmente nelle opere d'arte e nella poesia commissionate dalla dinastia. Fu oggetto anche di numerosi dipinti di Giuseppe Castiglione, il gesuita italiano che prestò servizio come pittore di corte di Qianlong. Le immagini della caccia, proprio come le immagini che commemoravano le vittorie in battaglia e altri soggetti militari, venivano regolarmente commissionate dalla Corte come forma di propaganda e ritravano gli imperatori Qing come esempi di valori marziali tradizionali (zh. wu).

  1. ^ Elliott 2001, pp. 183–184.
  2. ^ Elliott 2001, p. 335.
  3. ^ Waley-Cohen 2006, pp. 83–84.
  4. ^ Elliott e Chia 2004, p. 72.

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