Canali di Marte

La mappa di Marte pubblicata da Schiaparelli nel 1888. Le depressioni scure denominate (in latino) "mari" e "oceani" sono i canali.

I cosiddetti canali di Marte sono una serie di presunte strutture geologiche individuate sulla superficie del pianeta Marte da Giovanni Virginio Schiaparelli verso la fine del XIX secolo e divenute ben presto famose, dando origine a una ridda di ipotesi, polemiche, speculazioni e folclore sulle possibilità che il pianeta rosso potesse ospitare forme di vita senzienti.

Tra i più influenti assertori dell'ipotesi sulla natura artificiale dei canali vi fu l'astronomo statunitense Percival Lowell, che rese popolare il concetto presso l'opinione pubblica.[1] Da allora i canali marziani (e i loro ipotetici costruttori) divennero un elemento di innumerevoli opere di fantascienza avventurosa.

I controversi "canali" di Schiaparelli si dimostrarono in realtà delle illusioni ottiche. Benché le analisi spettroscopiche (a partire da quelle di William Wallace Campbell) avessero già escluso la presenza di acqua ed ossigeno sulla superficie del pianeta, solo le prime foto scattate dalla sonda spaziale Mariner 4 nel 1965 e la prima mappatura realizzata da Mariner 9 nel 1971 misero definitivamente fine a questa idea, rivelando una superficie arida e desertica, butterata da crateri da impatto, profonde incisioni e formazioni di origine vulcanica.

Le missioni spaziali hanno offerto indizi dell'esistenza passata di acqua allo stato liquido sulla superficie di Marte. Tuttavia le teorie che vedevano la rete di canali marziani come letti asciutti di fiumi vennero confutate dalle fotografie ad alta risoluzione del Mars Global Surveyor, scattate dal 1997 al 2001: nonostante siano visibili reti complesse apparentemente dotate di affluenti e corsi principali, non sono state scoperte sorgenti o reti in scala inferiore che possano giustificare l'origine di ipotetici corsi d'acqua di grande portata.[senza fonte]


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