Facendo riferimento al modello matematico della comunicazione di Claude Shannon e Warren Weaver (1948-49), si presuppone che ogni atto di comunicazione linguistica, ad esempio verbale, faccia intervenire perlomeno sei variabili distinte. Il messaggio su cui verte la comunicazione può allora essere caratterizzato in relazione alla variabile predominante in un determinato particolare contesto di scambio linguistico. Le variabili, considerate alla stregua di elementi costitutivi dell'atto linguistico, sono le seguenti: il codice, il messaggio, l'emittente (mittente o codificatore), il ricevente (destinatario o decodificatore), il canale[1] e il contesto[2]. In corrispondenza di ciascuna variabile, viene definita una funzione linguistica.
Già Karl Bühler parlava di funzioni del linguaggio, ipotizzandone tre: espressione (da parte del mittente), richiamo (verso il destinatario) e rappresentazione (del contesto)[3], ma si deve a Roman Jakobson[4], che utilizzò anche gli studi di Nikolaj Sergeevič Trubeckoj, un modello di maggior fortuna critica e chiarezza[5].
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