Mash-up (musica)

Mash-up
Origini stilisticheMontaggio sonoro
Origini culturaliAnni duemila Europa, Nord America
Strumenti tipiciMontaggio di audio digitale, mixer
Popolaritàmedia

Un mash-up (altrimenti mash up o mashup) è una composizione musicale che fonde insieme elementi di due o più canzoni preesistenti per creare un nuovo brano. Questi elementi possono includere:

  • Le linee vocali
  • La base strumentale
  • Le ritmiche
  • La melodia

La manipolazione di suoni preesistenti rende la tecnica mash-up simile ai concetti di montaggio sonoro e turntablism.[1]

Questa tecnica è a volte identificata come uno stile musicale vero e proprio noto con i nomi bastard pop/rock[2][3], o bootleg.[4][5]

Sebbene la disposizione legislativa del fair use permetta agli autori dei mash up di utilizzare campioni di brani di altri musicisti attenendosi a determinate regole,[6] il fenomeno ha generato alcune controversie legali relative alla proprietà intellettuale dei brani adoperati come fonti sonore, fra gli autori dei brani e i musicisti di questo stile.[7]

  1. ^ Christian Marclay | Biography | AllMusic
  2. ^ George Plasketes, Play it Again: Cover Songs in Popular Music, MPG Books, 2010, pp. 206, 209-210.
  3. ^ Cutting appropriation art across interventionist collage, media and copyright law (Kembrew McLeod & Rudolf Kuenzli, Duke University Press, 2011, pag. 132)
  4. ^ Rojas, Pete. "Bootleg Culture Archiviato il 17 giugno 2006 in Internet Archive.". 1 August 2002. Accessed Wednesday, 2 January 2008.
  5. ^ Ai mash-up è generalmente associata l'idea di bootleg perché vengono spesso vengono stampati su white label illegalmente, cioè senza l'autorizzazione del detentore dei diritti del brano, e vengono quindi definiti bootleg.(Mashed Up: Music, Technology, and the Rise of Configurable Culture, Aram Sinnreich, University of Massachusetts Press, 2010, pag. 121, 144, 165)
  6. ^ Code of Best Practices in Fair Use for Online Video Archiviato il 2 giugno 2010 in Internet Archive., American University, Center for Social Media
  7. ^ Vincent Miller, Understanding Digital Culture, SAGE Publications, 2011, p. 91.

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