Plagio (ordinamento penale italiano)

Il plagio nel diritto penale italiano era il reato previsto dall'art. 603 del codice penale, secondo cui «Chiunque sottopone una persona al proprio potere, in modo da ridurla in totale stato di soggezione, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni». Tale norma è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 96 del 9 aprile 1981. Il termine plagio deriva dal latino plagium (sotterfugio), che nel diritto romano indicava la vendita di un uomo che si sapeva essere libero come schiavo, ovvero la sottrazione tramite persuasione o corruzione di uno schiavo altrui.[1] Si legge infatti nella citata sentenza, che

«Nel diritto antico e fino all’inizio dell’età moderna il reato di plagio era inerente all’istituto giuridico della schiavitù inteso come stato dell'uomo non avente personalità giuridica [...]. Dalla fine del sec. XVIII con la progressiva accettazione del principio dell’uguaglianza dello stato giuridico delle persone e la conseguente progressiva abolizione della schiavitù [...] è concepito come un delitto contro la libertà individuale[2]»


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