Ustascia e Chiesa cattolica

L'arcivescovo di Zagabria Alojzije Viktor Stepinac interviene nel 1944 alle esequie del presidente del parlamento croato Marko Došen, una voce critica nei confronti del regime degli Ustascia, mentre alcuni gerarchi tributano il saluto a mano tesa.

Il rapporto tra la Chiesa cattolica e il regime dittatoriale degli Ustascia dello Stato Indipendente di Croazia (1941-1945) fu sostanzialmente ambivalente.[e formalmente?] La Chiesa, in particolare nella persona dell'arcivescovo di Zagabria Alojzije Viktor Stepinac, salutò con favore la nascita del nuovo stato che considerava il cattolicesimo un elemento essenziale dell'identità nazionale croata.

Anche in seguito il regime degli Ustascia non venne mai ufficialmente condannato. Tuttavia l'arcivescovo prese progressivamente le distanze dall'operato della dittatura fascista, condannandone in particolare l'intrinseco razzismo e violenza e le persecuzioni e conversioni forzate dei serbi al cattolicesimo. Nel Sinodo che Stepinac convocò dal 17 al 20 novembre 1941 i vescovi espressero la propria disapprovazione ad Ante Pavelić nella quale, pur dissociando la sua responsabilità dai suoi sottoposti “irresponsabili”, condannarono le conversioni forzate dei serbi e le atrocità degli ustascia chiedendo inoltre che i diritti della Chiesa Ortodossa andassero rispettati e che gli ebrei fossero trattati nel modo “più umanamente possibile, considerata la presenza delle truppe tedesche”. Pio XII informato sulle decisioni del Sinodo lo trovò soddisfacente e lodò il “coraggio e la decisione” dei vescovi nell'opporsi agli ustascia per il trattamento contro i serbi.[1] Lo storico Michael Phayer in base ai propri studi è arrivato a questa conclusione "Nessun capo di una chiesa nazionale parlò del genocidio in modo così evidente come fece Stepinac. Le sue parole furono coraggiose e di principio"[2].

Lo Stato Indipendente di Croazia comprendeva le attuali Croazia e Bosnia ed Erzegovina, eccetto l'Istria, Fiume e buona parte della Dalmazia.

  1. ^ M. Phayer, Il papa e il diavolo, Roma, 2008, pp. 51-57
  2. ^ Sabrina P. Ramet, The three Yugoslavias: state-building and legitimation, 1918-2005, 2006, p. 127.

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