Seconda guerra sino-giapponese

Seconda guerra sino-giapponese
parte della Guerra del Pacifico
Dall'alto a sinistra in senso orario: truppe da sbarco della Marina imperiale giapponese, dotate di maschere antigas, in azione tra le macerie di Shanghai; una Type 92 nipponica in postazione; vittime del massacro di Nanchino sulle rive del fiume Qinhuai; mitraglieri cinesi impegnati nella battaglia di Wuhan; bombardamento giapponese di Chongqing; corpo di spedizione cinese in India
Data7 luglio 1937 - 2 settembre 1945
LuogoCina, Birmania
Casus belliIncidente del ponte di Marco Polo
EsitoVittoria cinese
  • Resa incondizionata giapponese
Modifiche territorialiPerdita giapponese della Manciuria, delle isole Pescadores e di Taiwan
Schieramenti
Cina Supporto da:
Bandiera dell'Unione Sovietica Unione Sovietica (1937-1941, 1945)
Stati Uniti (dal 1941)
Bandiera dell'Impero britannico Impero britannico (dal 1942)
Bandiera del Giappone Giappone
Esercito collaborazionista:
Comandanti
Effettivi
5.600.000 cinesi (incluse le truppe sotto il controllo del Partito Comunista Cinese)
900 aerei statunitensi (1945)[1]
3.665 consiglieri e piloti sovietici[2]
4.100.000 giapponesi[3] (inclusi 900.000 collaborazionisti cinesi[4])
Perdite
3.200.000 militari (inclusi feriti, uccisi e dispersi)[5],
17.000.000-22.000.000 civili morti[6]
480.000 morti e dispersi e 1.100.000 feriti
1 Chiang Kai-shek guidò un fronte unito cinese che comprendeva nazionalisti, comunisti e signori della guerra regionali.
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La seconda guerra sino-giapponese (7 luglio 1937 - 2 settembre 1945) fu il maggiore conflitto mai avvenuto tra la Repubblica di Cina e l'Impero giapponese, e il più grande conflitto asiatico del XX secolo. Combattuta prima e durante la seconda guerra mondiale terminò con la resa incondizionata del Giappone il 2 settembre 1945, che mise fine alla seconda guerra mondiale.[7]

L'invasione della Cina, già flagellata da anni di guerra civile, costituiva parte del progetto strategico complessivo giapponese per assumere il controllo dell'Asia. Le prime avvisaglie di questo piano sono comunemente conosciute come "incidenti cinesi", fatti che la propaganda giapponese attribuì alla Cina in modo da legittimare le successive invasioni. L'Incidente di Mukden nel 1931 fu il casus belli dell'occupazione della Manciuria da parte del Giappone, mentre l'Incidente del ponte di Marco Polo segnò l'inizio dello scontro totale tra i due stati. La Cina non dichiarò ufficialmente guerra al Giappone fino al dicembre 1941, per timore di alienarsi gli aiuti delle potenze occidentali; una volta che il Giappone fu entrato in guerra contro gli Alleati, la Cina fu sciolta da questo vincolo e poté dichiarare apertamente guerra alle Potenze dell'Asse.[8]

Dal 1937 al 1941 la Cina combatté da sola, mentre dopo l'attacco di Pearl Harbor a fianco dei cinesi si schierarono anche le forze alleate, sia statunitensi sia sovietiche, che fornirono materiali, uomini e servizi addestrativi alle forze comandate da Chiang Kai-shek. Dopo la resa del Giappone, nazionalisti e comunisti cinesi tornarono a scontrarsi per il controllo del Paese, avviando così l'ultima fase della guerra civile.

  1. ^ Taylor, p. 645.
  2. ^ Taylor, p. 156.
  3. ^ Tohmatsu, Haruo, Strategic Correlation, p. 3.
  4. ^ Jowett, p. 72.
  5. ^ Clodfelter, Vol. 2, p. 956.
  6. ^ Clodfelter, Vol. 2, p. 956. Inclusi i civili morti a causa delle carestie e di altri disastri ambientali causati dalla guerra.
  7. ^ (EN) Herbert P Bix, The Showa Emperor's 'Monologue' and the Problem of War Responsibility, in Journal of Japanese Studies, vol. 18, n. 2, estate 1992, pp. 295-363..
  8. ^ (EN) China's Declaration of War Against Japan, Germany and Italy, in Contemporary China, vol. 1, n. 15, 15 dicembre 1941. URL consultato il 10 settembre 2010. Ospitato su jewishvirtuallibrary.org.

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